PROFUMO D’HABANA: FESTIVAL PARTAGAS 2004

di Dario Nulli

PROFUMO D’HABANA. Come si fa a placcare un’emozione!? Come riuscire a mettere da parte, per poi estrarle nei bui e freddi pomeriggi, le deliziose sensazioni che ti da una vacanza così intensa?
“Fotografie?”
“Mah! Sì. Però la fotografia è fissa. Ritrae un momento”.
“Filmino!?”.
Diciamoci la verità, questi accorgimenti non conservano che un pizzico della magia di quei momenti. “Come fai a conservare il senso del tepore?”
Il tepore di Cuba non è solo “climatico”. Ha un effetto intimamente terapeutico, ti entra nell’anima e ristabilisce il corretto fluire del pensiero. Passare per un’assolata strada dell’Avana ti esfolia gentilmente via tutte le squame velenose accumulate durante mesi di liti, stronzate, televisione per lobotomizzati e freddezza nordica.
“E i colori?” Ah, quelli ci sono! “Si però non li puoi più abbinare ai profumi!” Eh beh, l’accoglienza che ti dà l’Avana appena sceso dall’aereo! Vuoi mettere? 13 novembre, sera, l’Avana come al solito ci accoglie con un intenso “profumo” di …“Avana”. “Poi ti ci abitui, Giulio, – dicevamo al Nipotino del gruppo, Giulio Stoppani anni venti, maturità da trentenne, malsana passione per l’artigianato in legno – ed è come un profumo la prossima volta che sbarchi. Un intenso “profumo” di nafta ed umidità che ti accompagna per tutta la vacanza”.

GLI IMPLACABILI ORGANIZZATORI. Ma tutto era cominciato qualche mese prima. Quando i nostri due implacabili aguzzini, Giorgio e Paolo Bassan, si sono incaponiti su di una idea che coltivavano da tanto tempo: una gita sociale del “Calle” al Centro della Terra. Al centro del Mondo del Sigaro, ovviamente. Hanno passato ore al telefono per organizzare questa gitarella. Ma alla fine ne è scaturito un vero capolavoro. Come del resto sono stati capolavori le due Noches de l’Habano, la Cena da Gualtiero Marchesi, il Convegno di settembre, l’edizione di Pasiòn Habanos del grande Quiroga e tutti gli altri eventi partoriti dalle Teste pensanti del nostro Club.

Gli Aguzzini hanno programmato tutto perché pagassimo con inenarrabili sofferenze questo loro impegno e così il ritrovo è stato fissato prestissimo, le undici, alla Malpensa. Alcuni di noi, per l’occasione non erano neppure andati a dormire, denunciando quindi facce da patibolo con l’incertezza che ci avrebbero perfino consentito di passare la dogana.

AHI, AHI PANORAMA! Invece tutto bene, salvo qualche problema con la pesatura dei bagagli. Un appello: Egr. Sig. Blu Panorama, lo so che Tu devi fare i tuoi interessi ed è un periodo difficile per tutti, ma non vuoi certamente che un tuo passeggero circoli puzzolente per le strade dell’Avana con la stessa maglietta per quattro giorni! E non vuoi che quando i nativi lo annusano dicano “Ecco, quello ha volato per il Sig. Panorama”; Ti assicuro, caro Blu (dài, diamoci del tu che dici), che una valigia che, vuota, pesa sette chili non può pesare, piena, meno di 25 chili. Sii buono, Blu, non mandare più i tuoi sgherri a farmi la ramanzina!

Un po’ tristi per aver lasciato a casa il nostro buon amico Alex Paris, nonostante tutto alla fine siamo decollati, atterrati, trasferiti all’albergo. Qui subito il dramma! Tu pensi di essere al sicuro contro l’umana predisposizione a desiderare la roba d’altri. Eh beh, visto che ci troviamo all’Hotel Telegrafo, che il popolo cubano è così mite ed educato … Sparita una borsa, così, appena entrati. “Bienvenida”, ciurma del Calle.

Di lì ha preso il via tutto un tourbillonne di eventi ed impegni: E visita la casa di Hemingway, e visita la piantagione di Robaina, e l’Avana Vecchia, e la Floridita e il Cafè de l’Oriente e l’Hostal Valencia e El Laguito e … Per fortuna poi in mezzo a tutto questo corri-corri ci siamo ritagliati momenti, magari non memorabili, ma di pace totale, magari solo di relax in un barettino isolato o seduti al tramonto a guardare la gente. All’Avana è difficile che un fumatore si annoi. Ti siedi a riposare un paio d’ore, dopo aver girato come una rocchetta e te ne accendi uno con la pazienza di un bravo papà con un figlio promettente e quella fumata ti rimette in sesto il corpo e l’anima. Ordini una dolce Piña Colada e te la assapori, come del resto ti assapori il caliente sole dei Caraibi, il possente sigaro le cui sbuffate alterni alle sorsate, il caldo sorriso delle isolane che assaporeresti volentieri …

IL ROMANTICO FUMATORE. La pazienza, la meticolosità e l’estrema attenzione del fumatore di sigari è proverbiale. Talvolta viene da considerale l’essenza stessa della fumata.

Immaginate di essere in un luogo in cui tutto, i colori, la sazietà, il tepore fantastico del pomeriggio, la verdeggiante Valle di Viñales, la rilassatezza al limite della paralisi, chiama a gran voce la compagnia di un buon sigaro; ecco, inesorabili, a fine pranzo spuntare tre stupendi “Cannoni” procurati in chissà quale negozietto dell’Avana.

Come un sol uomo, estratto l’oggetto del piacere con gesto calmo, virile ed apparentemente distaccato, osservatane estatici la fattura pregevole e la capa liscia, annusatolo per benino, attentamente asportatane l’estremità arrotondata (io a dire la verità mi stavo fumando un “Piramide”, per nulla arrotondato, ma cascasse il cielo se mi ricordo come si chiama ‘sta càspita di “imboccatura” del sigaro), si inizia l’accensione, preceduta da un lento ed accurato riscaldamento. È una convenzione non scritta: tanto più piacevole è il contesto, tanto più certosina è la procedura di “warm up”.

Ed è stato in questo momento, nella atmosfera sospesa di quell’ambiente favorevole, che una cara amica, rompendo il silenzio fatato che accompagna l’intervento, disse: “Yo quisiera ser tratada como un puro!”, così significando il desiderio, proprio di qualsiasi donna, di ricevere dal proprio uomo una quantità di attenzioni, sguardi, dolci carezze e tiepidi bacetti, prima di un soddisfacente, duraturo, rapporto. “Come vorrei, certe volte essere trattata come un Sigaro”.

Com’è vero! Noi fumatori, un po’ romantici, un po’ sognatori, dedichiamo grandi attenzioni alle nostre “creature” e senza volerlo certe volte simuliamo un po’ l’atto sessuale. Ma d’altra parte molti di noi si premurano di dedicare le stesse attenzioni alle nostre compagne anche se talvolta senza che ciò ci sia riconosciuto. Io stesso mi sento di non aver mai fatto torto a nessuna, tant’è vero che ho risposto: “Ma amore, più di una volta ho cercato di darti fuoco, ma non mi hai dato l’impressione di esserne molto entusiasta!”. Pazienza, non sempre le buone intenzioni vengono premiate …

PRIMO GIORNO ALL’AVANA. Sveglia di prima mattina, anche perché molti di noi soffrono una particolare patologia ansiogena nell’aspettativa del buffet/colazione. Quello del Telegrafo non è un gran ché, ma non è neanche malaccio. Ed allora, tutti giù alle sette e mezza ad abbuffarsi come rinoceronti. Personaggi che, come il sottoscritto, la mattina riescono a malapena ad iniettarsi per via endovenosa, con occhi socchiusi, un pallido theuccio e sgranocchiare sonnolenti due-biscottini-due, in vacanza si trasformano nell’inquietante “Hoover l’Aspiratutto” ed ingollano avidamente ogni oggetto dall’aspetto vagamente commestibile che gli viene messo sotto il naso: frittatona di due uova con formaggio e prosciutto, bicchierone di succo di Frutta Bomba (non è solo il nome, una volta nello stomaco si verifica una vera deflagrazione!), finito questo, via! scatto per assicurarsi un bel piattone di frutta varia, ananassi, papaya, platano … e non si guarda in faccia proprio a nessuno, posto che, prima di gettarsi per le vie della Ciudad, si decide che può starci pure il temibile “Mezzo Filoncino” (un metro e mezzo di pane) da spalmare con tanto burro e sette/otto marmellatine (le ultime, sottratte in extremis a piangente bambino di coppia canadese di tavolo vicino).

Tanto perché capiate il giro che ha sùbito preso la vacanza, sappiate che terminato questo “Petit, Petit Déjeuner”, si è subito passati a decidere dove pranzare.

LA “DIVINA PASTORA”. Il tempo di un giretto all’Habana Vieja e ci imbarchiamo su tre taxi direzione la “Divina Pastora” proprio di fronte al Morro, la fortezza che protegge l’entrata della baia dell’Avana. Uno spettacolo. Il luogo è incantevole, in riva al mare, si domina la baia ed il ristorante non è niente male. Anche il cibo è piuttosto buono, aragosta, gamberoni, ecc. … Con tanto di Sigarone per concludere, abbiamo deciso di formare una “Cassa Comune”, 50 dollari a testa, che sarebbe dovuta nelle intenzioni bastare almeno per tre giorni. “A Cuba la vita non è cara”, andava predicando mesi fa il grande Ettore Maranesi per convincere gli altri due Zii, Giorgio Baggio e Franco Taglietti, ed al resto del gruppo ad andare in vacanza con lui. Totale della raccolta, 450 dollari; totale della Cuenta, 489 dollari; Cassa Comune esaurita!

L’EL ALJIBE. O come cavolo si scrive! Andateci! Andateci assolutamente. È un ranchon nel quale ti servono il pollo asado (arrosto) più buono dell’Isla. Con contorno di eccellente Congrì. E per di più te ne danno fin che ce ne sta. All You Can Eat, gente. Il paradiso del Mangione, la boutique del Ciccione. E il tutto per circa 12 dollari a testa, bevande comprese. Lì abbiamo incontrato per la prima volta in questa vacanza l’amico Alex Iapichino che poi, nel prosieguo di serata abbiamo prudenzialmente deviato verso un locale di Miramar dove la sua prestanza fisica non ci avrebbe potuto recar danni o concorrenza. Vicino a lui mi sento come Danny Devito ne “I Gemelli”, però con un estratto conto di molto più ristretto.

VISITA ALLA CASA PARTAGAS. Il giorno dopo, appuntamento alle tre alla Tienda Partagas. Lì avremmo incontrato Orlando Quiroga, il nostro amato scrittore, e gli altri amici, come la China e Abel Esposito, il Direttore. Erano infatti lì tutti. Chi sorridente come Orlando, chi indaffaratissimo come Abel. Poverino, quando Dio ha stabilito che la carretta cubana procede anche se non tutti sgobbano come dannati, lui doveva essere a fare pipì. Corre da mattina a sera come un filippino, ma è serio ed efficiente come uno svizzero. Presumo che se i tre giorni del Festival sono stati perfetti, lui deve averne un buona parte di merito.

Ci siamo presentati tutti quanti con la maglietta del Club che, per chi ancora non lo sapesse, si richiama alla via della Tienda, Calle de la Industria 520, appunto. Grande effetto. Grande fumata con sigari formato Siglo VI della China. Grande accoglienza insomma. Il tutto si è chiuso con foto di gruppo davanti all’autobus della Partagas. Una foto che rimarrà nella nostra privata leggenda.

IL TROPICANA. Qualche giorno interlocutorio, fatto di escursioni Sigaresche, sedute Cocktailesche e nottate a rischiare la pelle su Taxibaracche, per arrivare al primo vero grandissimo momento: il Tropicana. Una mezzoretta in taxi e si mangia. La cena, che vale comunque la pena di fare, ma che non è un gran ché, prelude a quello che a mio parere è uno degli spettacoli di ballo moderno più entusiasmanti che si possano ammirare al mondo. Cornice fiabesca, ballerine da coccolone, costumi fantasiosi e coloratissimi, coreografie mozzafiato, musica travolgente, atmosfera “Hollywood fifty’s”.

In particolare quando una musica molto ritmata, crescente e ripetitiva, introduce e sottolinea la parodia di un vero e proprio rito tribale africano. Veramente un’esperienza da non perdere il Tropicana. Questa danza evoca le radici delle popolazioni negre dell’isola ed assume dei contorni impressionanti. Ti accorgi ad un punto di essere entrato tu stesso con i ballerini in una specie di stato di trance ipnotica e vorresti che la musica non se ne andasse mai. Per via poi del fresco Jet Lag, alcuni di noi sono perfino andati più in là ed hanno oltrepassato le soglie dell’ipnosi. Un esempio su tutti: Franco Taglietti ed Enrico Rizzi si sono posizionati in prima fila, hanno ordinato un rum e … si sono … inzuccàti, addormentati secchi, riscuotendosi da questo “raptus estatico soporifero” in cui i ritmi tribali li avevano trascinati, a spettacolo ampiamente finito. Raro esempio di partecipazione attiva del pubblico!

CAYO LEVISA. “Tutti alla Partagas alle otto di mattina in punto” – sentenzia implacabile Giorgio Bassan con l’espressione a metà tra quella fiera di Temistocle la sera prima della battaglia di Maratona e quella sadica di Juan de Torquemada durante le torture dell’Inquisizione. I più inquieti erano gli Zii che dovevano aver fatto tardi al Cafè Cantante o giù di lì. Confortati comunque dal fatto che la Partagas è a due isolati dal nostro albergo, siamo arrivati con estrema puntualità. Tra ottimi caffè e un’occhiata ai banchi gonfi di casse di tabacco profumato, abbiamo fatto passare la mezz’oretta di “retraso” che sembra essere uno dei principali requisiti dell’appuntamento cubano chic. Vedete, anche l’etimologia conferisce al ritardo del cubano un suono meno illecito. Retrasàr, più che di una colpevole manchevolezza del ritardatario, da l’impressione di un legittimo “riposizionamento” dell’orario un po’ più in là.

Saliamo sull’autobus, si chiudono le porte ed … è subito Psicosi del Sommergibilista. Alle otto e mezza, 45 persone, gente che normalmente a quell’ora neppure ha ancora aperto gli occhi, estraevano all’unisono cannoni delle dimensioni di un dirigibile e, con l’impossibilità di aprire un finestrino, hanno tutti insieme iniziato una fumata mitologica. Chi esibiva il nuovissimo (e a quanto pare buonissimo) “Cohiba Sublimes”, chi un “Edmundo”, chi un “Serie D n. 1 di Partagas” con la capa nerissima. Vi garantisco che nessuno è comunque sceso sotto i 18 centimetri di lunghezza.. Il Coche sigillato si è quasi immediatamente trasformato in una polveriera che tutti hanno subìto in silenzio. In quel contesto da silicosi il nostro Marino Pellegrinelli, privato del necessario apporto di ossigeno, ha avuto anche alcune visioni mistiche. Sosteneva di intravedere attraverso la nebbia il Beato Don Jaime Partagas dotato di ali. Dopodiché ha cercato di praticare un esorcismo su un’immagine a grandezza naturale del Ministro Sirchia trafitto da un nugolo di frecce. L’abbiamo abbandonato sul ciglio della strada dove è stato prelevato dalla locale sezione Neuro. Purtroppo era il nostro cassiere. Ammetto che questo deve avergli provocato più di uno shock. I suoi nervi non hanno resistito poverino.

L’ottima organizzazione della Casa Partagas ha iniziato a farsi sentire fin da quest’episodio. Gita a Cayo Levisa, un’isoletta a qualche centinaio di Km a Ovest dell’Avana. Ottima organizzazione dicevo, perché dopo un confortevole viaggio in pullman con la simpatica e versatile Tamara (e qualche bottiglia di rum) a intrattenerci, siamo saliti su due belle imbarcazioni che ci hanno portato, dopo breve traversata, al Cayo, dove ci aspettavano cocktails, un bel pranzo a base di crostacei, pesce, pollo e altre prelibatezze sotto le palme della spiaggia ed un gruppo musicale pregevole. Purtroppo un vento eccessivo ha rovinato il gusto della fumata che ci apprestavamo a fare. Peccato, ma il posto merita, come meriterebbe una tappa il bel villaggio turistico che ci ha ospitato.

COCTEL DE BIENVENIDA. Perché i cubani scrivono “coctel”? Ma perché mi pongo domande come questa? Boh. Certo l’evento era molto atteso perché era un po’ il vero battesimo della tre giorni della Casa. Anche stavolta Partagas non si è smentita. Eccellente l’ambientazione, l’interno del Palazzo dell’Artigianato vicino alla Cattedrale, un patio quadrangolare stupendo, arricchito da luci molto adatte. Sùbito una scarica di Mojitos. Poi uno spettacolo davvero gradevole. La presentazione di un libro dell’italiano Balestracci, “Ablamos el mismo idioma”, balli, sigari buonissimi, altro alchol a fiumi. Ed allora ci è venuto appetito. Perché non sedersi in uno di quei localini in Calle Obispo e spararsi un bel jamon y queso? Poi tutti a letto neh!? Domani si va presto da Robaina.

EL SEÑOR ROBAINA. Don Alejandro era là che ci aspettava come l’anno passato. Seduto sulla sua seggiolina a dondolo, sotto il suo portico che da sul giardino, armato della sua immarcescibile serenità olimpica, aspettava che i turisti di turno venissero ad omaggiare la sua, ormai santa, persona. Ed in effetti questa è la cosa che immediatamente ti colpisce quando conosci Don Alejandro Robaina. Tutto il giorno c’è un andirivieni di persone provenienti da tutto il mondo. Che la loro compagnia sia interessante o no, Don Alejandro parla con tutti, sorride a tutti, non da mai un segno di impazienza e lascia alla buona educazione di ognuno sapere quando è il momento di levarsi di torno. Io, se avessi ottantacinque anni, ottanta dei quali passati a lavorare duro, se fossi un’icona del sistema, con una sterminata tenuta da mandare avanti, con la responsabilità di produrre le foglie di tabacco più belle di tutta Cuba, alcuni li manderei anche a quel paese. Un vero signore. Anzi un vero Hombre. Sì perché questa è la cosa che ti colpisce immediatamente dopo. Robaina è un Hombre d’altri tempi. Sguardo fiero e occhio vivace a dispetto dell’età. Portamento da leader, poche parole ma ben dosate. È davvero lui il centro della Finca. Non è un omone, ma è maestoso lo stesso.

Dopo aver trovato la casa senza molta difficoltà (l’anno scorso è stato un incubo di scrocconi che ti deviavano per venderti una cassa di sigari falsi) siamo penetrati dal cancello con l’intero Autobus. I parenti si sono precipitati per chiederci se eravamo ubriachi. Ma come, mi entrate in casa col pullman? Allora sono sceso ed ho detto una frase magica che ci ha aperto tutte le porte. “Abbiamo a bordo il Signor Quiroga!” – “Allora sì, prego venite” – è stata la risposta entusiasta. Bisognava proprio farla questa trasferta di 250 chilometri per vedere l’abbraccio di questi due Grandi Decani. La mattinata ha assunto toni commoventi. Abbiamo finito tutti i rullini.

Venuti via, l’idea successiva è stata vincente: pranzare al ristorante che si affaccia sul promontorio della Valle di Viñales. Pollo e birra con una vista da incanto. Meritevole, degna prosecuzione di una giornata da raccontare ai nipotini tra vent’anni.

VISITA A EL LAGUITO. Normalmente non si può. Sarà stato perché il nostro nome è la via dove si fanno i sigari buoni, o per l’intercessione di Quiroga, noi invece siamo entrati. Lì dentro tutto sembra funzionare come un orologio. Ci ha ricevuti il Direttore Osmar Fuentes per illustrarci la storia e la realtà del Laguito. Poi il giretto turistico guidato da una delle veterane della fabbrica. Nel mentre si stava svolgendo un’assemblea dei lavoratori particolarmente disciplinata. Anzi, l’assemblea non aveva neppure interrotto il lavoro! Qualcuno che non vuole essere peraltro nominato ha maliziosamente auspicato una visita in loco dei nostri rappresentanti della CGIL.

LA CENA DI GALA. La paternità dell’idea vincente è modestamente mia, anche se nessuno è disposto a riconoscermela. “Ragazzi, e se alla serata finale ci presentassimo tutti in Cocotaxi?”

Bel colpo. “Evento speciale questa sera all’Hotel Nacional”. Serata finale di un importante Festival, duecento persone da tutte le parti del mondo, belle impomatate, festeggiano l’anniversario della più importante Case di Tabacco dell’Avana. L’attesa è grande. “Attenzione, a bordo di una lussuosa Mercedes nera giunge Valerio Cornale grande collezionista di sigari ed oggetti connessi. A bordo di una Limousine ecco l’ospite d’onore Don Alejandro Robaina con il nipote Hiroki. Ma ecco, sentiamo un rumore, come di Ape-Car, vediamo chi è … ecco, ma sì, è la ciurma di quelli del Calle de la Industria, a bordo di cinque carrette su tre ruote!!!!”. Ed in effetti, sbarcare tutti lucidi ed incravattati da cinque ovetti gialli a tre ruote, all’entrata principale dell’hotel più prestigioso dell’Avana, sotto lo sguardo stupito del pinguino in livrea che cerca disperatamente una portiera da aprire! Sembrava di essere in “Amici Miei”.

Davvero grandiosa la serata. Per iniziare, accoglienza stupenda nel parco antistante l’Hotel. In faccia al Malecon ricchi aperitivi in attesa della cena. Ma ciò che il sottoscritto non dimenticherà mai, è il Laguito n.II destinato ad “aprire le ostilità”. L’ho eletto “Sigaro della Vacanza” e vi garantisco che ne ho fumati …

La cena è stata un susseguirsi di momenti rimarchevoli. Iniziamo dalla gran soddisfazione di avere avuto il nostro President, Giorgio Bassan, componente della Giuria Internazionale alla competizione dei Torcedores. A sentire Giorgio, il sigaro preparato dal vincitore, Hamlet di Romeo & Julieta, era qualcosa di unico, talmente buono da risultare forse irripetibile. Gli si sono illuminati gli occhi.

Accompagnati da cibo e vino di qualità molto apprezzabile (al limite della perfezione se pensiamo quanto sia difficile cucinare per duecento) abbiamo poi assistito all’asta che ha messo in palio pezzi veramente importanti, tre pregiati humidores gonfi di sigari, che si sono assicurati gli italiani Di Serio e Scolo. Condotta magistralmente da un frizzante Massimo De Giovanni, padrone di tre lingue e da una favolosa signora bionda di cui mi sono seduta stante innamorato follemente, l’asta aveva come fine altamente umanitario, la sanità cubana. Questo non ha comunque impedito che ad una ragazza cubana presente, sentite le somme sborsate dai vincitori per quelle che lei doveva aver percepito come delle “scatole di legno”, scendessero due caldi lacrimoni.

La mattina dopo, partenza. Per essere sinceri non tutti sono partiti per l’aeroporto … alcuni hanno proseguito per Pinar del Rio … ma questa è un’altra Vacanza! Forse un giorno vi racconterò anche di Tìa Hilda, dei Capucìnos, de El Criollo, del Disastro di Plaja Bailem e del Mistero della Gomma Scoppiata.

Ciao ciao, Gente.

Dario Nulli