di Bunker Bastard
PRIMA PARTE
Cuba 2008 – back to the hell
“Arrivo ….. papiiii”. Il prode Paolone Trapelli, con ancora addosso la sua preziosa camicia candida da 800 euro, si girò verso quella voce argentina che trillava giocosa dal gigantesco bagno con piscinazza Jacuzzi della Suite imperiale riservatagli dal direttore del Grand Hotel quando questi aveva appreso che chi aveva davanti al check-in era il Chiarissimo Socio dell’Anno di tutti gli anni possibili del Club di Fumatori di Sigaro più prestigioso dell’intera galassia. Una vera personalità.leggi tutto
Il cuore del Trap ebbe un sobbalzo quando vide il sorriso travolgente della statua mulatta conquistata poche ore prima nella hall impegnando semplicemente l’aperitivo di quel sontuoso cenone di fine d’anno che è il suo ineffabile fascino da Maschio Latino. La meravigliosa sconosciuta, probabilmente una principessa in incognito di qualche fiabesco regno africano o una star di prima grandezza del cinema habanero, si avvicinava lentamente, con addosso solo il pregiato collier di perle di cui il Trap le aveva fatto omaggio agli esordi del suo avvolgente corteggiamento. I suoi lenti e sinuosi movimenti erano inequivocabilmente destinati a conquistare ogni attenzione di quello che aveva a una prima occhiata individuato come il “Mandingo Bianco”. Quasi subito quei due iniziarono un silenzioso, animale corteggiamento, fatto di sguardi torbidi e di sapienti essenziali movimenti. Come rocamente sussurrava quel gran chanssonier di Paolo Conte “Quei due sapevano a memoria dove volevano arrivare”. La pelle di lei aveva un profumo da perdere la testa, le mani di lui cominciarono a darsi da fare con sapienza collaudata su quel corpo morbido e scattante. Il vecchio leone aveva la sua vittima tra le mani ed ormai non gli sarebbe più sfuggita.
Il “Mandingo Bianco”. Per l’occasione in uno spunto di simpatia indossa un copricapo con orecchie da Topolino cercando di accattivarsi i nativiIl Trap ebbe solo il tempo per un malizioso spunto di vanità, certo non proprio consono alle sue qualità di grande amatore, ma umano (anche lui in fondo lo è). Dopo aver raccontato agli altri soci del club questa straordinaria avventura sarebbe stato finalmente e seduta stante insignito del titolo di “Socio del Millennio”. Già si vedeva incoronato e ricoperto di medaglie al valore durante la prossima Noche del Habano. Una standing ovation, anzi, una hola avrebbe accompagnato il suo ineluttabile destino di grande fumatore!
Presto i due si aggrovigliarono in centinaia delle più torride posizioni, sconosciute perfino ai maestri indiani del quarto secolo; la stupenda creatura gemeva investita da quella carica virile inimmaginabile e nei rari momenti di lucidità andava con la memoria ai penosi mulatti, veri imbranati al confronto, che aveva incontrato fino a quel momento della sua esistenza e le veniva da sorridere. “Dove sei stato finora stallone! – sembrava sussurrare ogni centimetro della bollente pelle della sconosciuta – perché non ci siamo conosciuti da piccoli?” (Ignorava certo la poverina che il Mandingo Bianco aveva quasi centoquattordici anni e lei avrebbe dovuto essere partorita quantomeno prima della Presa del Palazzo d’Inverno!)
Alle quattro del mattino, dopo ore di ininterrotta e martellante attività sessuale, durante le quali la meravigliosa sconosciuta aveva raggiunto un numero incalcolabile di orgasmi ed in cui lui le si era mosso intorno come il Ghibli del deserto, riducendola ad una disorientata buccia di quello che prima era un succulento frutto tropicale, il Trap decise che per quella notte era abbastanza e poi non poteva sopportare che quella goffa bambolona gli avesse improvvidamente imbrattato di rossetto la camicia preferita. Sudato ed affannato, si tolse da sopra quel corpo stupendo, si rigirò virilmente nel letto per accendere la sigaretta di rito e…… si svegliò. Aveva sognato tutto poveretto! L’unica cosa reale era … che era completamente sudato. Si era addormentato verso un quarto alle nove, ancora in camicia ed in preda ad una feroce sensazione di pienezza dovuta alla sontuosa abboffata di gamberoni al sugo serviti dal ristorante dell’albergo subito dopo l’arrivo all’Avana. La Bucanero gelata aveva fatto il resto. Il Trap si guardò intorno: nella ordinaria cameretta di nove metri quadri non era solo. Si stropicciò gli occhi; nel lettino accanto dormiva senza badargli troppo il Presidente Bassan ed allora si ricordò: i tenutari dell’albergo gli avevano combinato uno scherzetto dando via la sua camera a qualche avventore capitato lì all’ultimo momento e disponibile a sganciare una buona mancia e lui era stato costretto a condividere la camera con il Prez.
Dopo anni di allenamento questi dell’accettazione nel riferirgli la cattiva notizia avevano fatto talmente bene la tipica faccia con la bocca a O (cosiddetta perché il pollo O ci casca O son botte…) che il Trap ha pure chiesto se c’era da pagare una differenza! Alcuni cubani impegnati nel turismo sono notoriamente degli illusionisti molto convincenti. Più che nel farti apparire quel che desideri, sono però grandi specialisti nel farti sparire quel che sembra già assodato. Stavolta era stato il turno della prenotazione del Trap.
Il Trap si predispone ad affrontare un’altra delle sue intense giornate cubane dietro le sue inseparabili lenti scure. Fumerà pregiati toscanelli aromatizzati da lui importati dall’Italia (!)Comunque, ritrovando un po’ di entusiasmo, osservò con il primo filo di lucidità e lo stomaco in fiamme, che un rimasuglio di quello che ormai purtroppo sembrava essere stato solo un sogno era realmente lì nella stanza! Il rossetto carminio macchiava davvero pesantemente la sua candida camicia.
Siiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii, forse non tutto era perduto, le sensuali labbra della sconosciuta lo avevano davvero percorso da capo a piedi! “Ah no, Cambronne, è il sugo dei gamberoni!”
Trascorsa la prima serata in maniera così poco onorevole (ma non è vero. In effetti era tranquillamente in giro con noi per l’Avana fumando inquietanti toscanelli aromatizzati) la mattina successiva anche il Trap iniziò il primo giorno di ferie con il breefing indetto dal Presidente nel bel patio quadrangolare del Conde de Villanueva, con davanti una bella colazione fatta di frutta fresca , omelette, succhi, caffè forte e pane tostato.
Le sedie a dondolo dondolavano e i sigari si consumavano lentamente in decine di sbuffi sbuffanti, nell’attesa che tutti i personaggi fossero presenti. In particolare uno di essi si faceva aspettare, anche perché, con la sottaciuta finalità di un miserabile miglior riscontro economico, era “sceso” in una squallida bettola nei pressi del porto.
Uno dei tanti breefing per nulla “breef” tenutisi nel patio. Si noterà in primo piano il Pres. I due sullo sfondo che sembrano scambiarsi opinioni su alte problematiche socio-politiche, in realtà sono le suocere di Lambiase e Rizzi e stanno bofonchiando basse insinuazioni sugli assentiEra costui tale Dario Nulli, bieco astemio pentito, meglio noto con il nomignolo di Spuma Libre per il ricorrente sotterfugio di farsi “ammorbidire” i cocktails da compiacenti baristi prezzolati. In definitiva questo tipico esemplare di idiot savant ordina un Mohito, pagandone il cospicuo corrispettivo, e beve acqua e mentuccia (simulando poi, per giunta, un improbabile stato di avanzata ubriachezza), tant’è vero che ha un feeling speciale con la Bodeguita del Medio, luogo ove non ha neppure bisogno di corrompere il barman.
Il Nulli viene da molti anche soprannominato “Media Rueda” un po’ per la sua abitudine di rimanere a ruota e un po’ per la scarsa media della sua attività riproduttiva. Anche delle poche donne che ha avuto è infatti possibile fare una media: per metà deludenti, per l’altra irritanti. Solo una personalità al limite inferiore della indecenza e uno scarso spirito di iniziativa lo trattengono dall’intraprendere azioni seriali di rivalsa nei confronti di questo mondo carogna.
A corroborare la sensazione di una preoccupante carenza di spina dorsale e della totale mancanza di un sensato progetto di vita, sta la sua nota affermazione che se, in caso di metempsicosi, potesse decidere il proprio ruolo nella nuova vita, vorrebbe tanto essere quello che fa “huh!” nell’orchestra di Xaviér Cougàt.
Comunque, arrivato alla fine anche questo anonimo figurante, i sei si trovarono a decidere come impiegare la giornata. Chi si era illuso alla partenza di immergersi per una settimana nel tepore avvolgente dei Caraibi si sbagliava di brutto. Grigi nuvoloni carichi di pioggia incombevano sull’Avana, come in qualsiasi pomeriggio novembrino delle Langhe, uno di quelli che hanno indotto Cesare Pavese a lasciarci anzitempo, e quindi molte delle possibilità consuete ci erano precluse. E allora, dopo approfondito dibattito si è deciso che gli esordienti avrebbero dovuto prendere confidenza con la Ciudad. Così ci siamo caracollati stancamente per i luoghi più triti dell’Avana Vieja. Su e giù per Obispo, la Plaza Vieja, il Capitolio, qualche sigaro, qualche cocktail fresco, pranzetto a base di paella all’Hostal Valencia …… Detta così sembra una vita noiosa, e forse per uno che all’Avana c’è stato tante volte lo è, ma, …. averne di giornate così una volta tornati purtroppo ai nebbiosi e laboriosi pomeriggi lombardi ………
Il lunedì tutti alla Partagas. In effetti eravamo ufficialmente lì per festeggiare il XV° anniversario della Casa Partagas. Quella sontuosa tabaccheria, rivendita di sublimi sigari, posta al numero 520 del Calle de la Industria, visitata annualmente da migliaia di turisti infoiati. Ogni giorno scendono dai pullman in transito sciami di giapponesi, canadesi, tedeschi, sudamericani, che come cavallette fanno piazza pulita di tutto ciò che viene messo in vendita. O meglio, lo facevano prima che i prezzi dei sigari venduti a Cuba venissero equiparati a quelli di ogni altro posto del mondo. Adesso c’è proprio aria di crisi e anche lì si può agevolmente entrare nei locali della Casa senza camminare sulle teste dei dannati nel girone del fumo tenacemente curvi sui banconi dell’esposizione sigareccia.
Noi comunque, secondo consolidata tradizione, siamo stati ospiti della retrostante saletta “Vip” con poltronone in pelle e servizio di neri caffè e rinfrancanti “traguitos de ron”. Una fumata non poteva mancare. Quel che mancava però, e mancava pesantemente, era il nostro Orlando. E non ce ne accorgevamo solo noi. Purtroppo il nostro “nonno” adottivo se n’è andato lasciando un palpabile vuoto nell’atmosfera gioiosa della saletta. Orlando Quiroga era una componente basilare dell’arredo, di quello materiale, visto che passava lì le sue giornate intrattenendo piacevolmente gli ospiti, dall’alto della sua garbata cortesia e della sua preziosa cultura; e di quello spirituale, memoria storica della vita e della mondanità di cinquant’anni di vita planetaria, visto che ora ha lasciato i suoi antichi ospiti alla disorientata ricerca di un argomento vivace di cui parlare e soprattutto di una prospettiva di pensiero davvero originale con cui accompagnare un buon San Cristobal o un Siglo VI. È ancora vivo il dolce ricordo di quando al Barrio Chino si allontanava nella gialla folla brulicante salutandoci da un risciò e forse allora tutti, lui compreso, abbiamo temuto che non ci sarebbe stata un’altra volta. Ma tant’è, la vida sigue igual.
In omaggio al Grande Vecchio ci siamo poi recati al camposanto. Peccato che il Cementerio Colòn rispecchi a grandi linee l’organizzazione di ogni altra cosa cubana, in particolare nella disposizione architettonica. Siete mai entrati in un vecchio edificio dell’Avana? Beh, non solo non basta la piantina, ma neanche vengono in soccorso le normali coordinate come “di qua”, “di là”, destra, sinistra, arriba, abajo…. A quella che a prima vista diresti la destra c’è un ampio scalone in marmo che non porta da nessuna parte; di qua o forse di là un altissimo androne a cappellasistina che dà su una porticina che a sua volta dà direttamente nel vuoto; la porta “giusta”, quella che ti è stata indicata dagli espertoni all’entrata, è invece sbarrata con assi e chiodi; in mezzo una stretta e ripida scaletta edificata secondo i criteri di qualche strampalata geometria non euclidea, si inerpica attorcigliandosi fino al cielo….. Abbiamo dovuto elargire parecchie mance a custodi, lacché, tassisti ed “esperti” del sito, solo per arrivare nella zona in cui, suppergiù (sempre più o meno!), si trovavano le spoglie mortali dello scrittore. Curiosa in particolare la richiesta di pagare il biglietto d’entrata, ma ancora più curiosa la richiesta di un CUC per introdurre nel cementerio la macchina fotografica. Paese che vai…… Neppure la foto gli hanno messo, forse bisognava sborsare qualcosa anche per introdurre la fotografia! Così ci siamo trovati, noi sei, il tassista ed il leggendario Remy de Cuba, davanti ad un’anonima tombaccia in cemento grigio (allora ecco perché “cementerio”!) per un’ultima prece, guardandoci di sottecchi alla vicendevole ricerca della certezza che quello fosse davvero il posto dove riposa. Fortunatamente, grazie anche al nostro Pres., il magnate italiano Di Serio ha garantito che si sarebbe mosso perché vi siano apposti almeno il nome ed un’immagine. Grazie di cuore, senor Di Serio.
Il cielo era plumbeo, l’Avana era plumbea, il nostro umore ancora di più. Ed allora via! Due taxi verso il centro per assicurarsi un pasto caldo. E la sera tutti al Cotél de Bienvenida organizzato dalla Casa Partagas, per l’occasione all’Avana Cafè, inquietante ex cafè chantant anni 50 sul Malecon, sotto il Melià Cohiba.
Il Nostromo Firmo in un’antica riproduzione. Si osservi in particolare la caratteristica espressione di quello che la sa lungaTutti no. Tutti meno che Piero Firmo; il vecchio bucaniere, nato nel 1497 su una spiaggia della Cornovaglia e meglio noto come “Fratelli della Costa”, non ce l’ha fatta; con la schiena a pezzi per una vita salmastra trascorsa a saccheggiare villaggi costieri e smaltire bisbocce alla Tortuga, l’antico pirata si è improvvisamente incriccato. La presenza a Cuba di Piero Firmo era del tutto casuale. Pare infatti che il suo obiettivo iniziale fosse di unirsi alla feccia di Henry Morgan che formava da tutto il globo nella vicina Ile-a-Vache un esercito di disperati per un secondo assalto alla fortezza di Maracaibo. Ma dopo aver conosciuto quell’altro Henry, cioè il prodigioso Henry Rizzi, anche lui peraltro vecchia canaglia dalle mille cicatrici, ha ritenuto più opportuno fermarsi all’Avana per una settimana di relax.
Quando siamo rientrati ci siamo subito pentiti di averlo lasciato lì solo. Il portiere di notte ci riferiva infatti che “Fratelli della Costa” aveva saccheggiato la cambusa della locanda, terminando le scorte mensili di carne essiccata e di aringhe affumicate e prosciugando letteralmente un paio di botti di rum della Martinica e si era poi fumato sei o sette Lousitanias. Infine non contento, dopo un infruttuoso tentativo di seduzione della mascotte dell’hotel, un pavone variopinto che da quel momento non si è più ripreso davvero, il vecchio Pirata, colto da sacro furore, cercava di fumarsi anche il gigantesco sigarone decorativo all’entrata dell’albergo. Nella pagina precedente il Vecchio Bucaniere è ritratto in un dagherrotipo d’epoca mentre dall’alto della sua millenaria saggezza elargisce dotti consigli a quel giovinotto scapestrato di Josè Martì.
Nelle notti successive molte furono le lamentele degli ospiti del Conde che affermavano di aver udito le alte grida sgraziate del pavone in fuga sotto il porticato e la voce concitata del Bucaniere che lo inseguiva apostrofandolo con il nomignolo di “Compañero”.
Il Prez Giorgio Bassan e il Baffo Rizzi imprigionati al Coctèl de Bienvenida. Sono chiaramente inquieti e pronti ad una evasione rocambolescaPremetto che il Coctèl de Bienvenida non è stato male dal punto di vista gastronomico. Abbiamo anche ben fumato. Ad un certo punto è saltato anche fuori uno spettacolo decente, un balletto mica male. Ma verso le dieci la cena è degenerata ed è partito un vero e proprio evento aziendale. Sapete quelle noiose cene a cui non si può mancare se si vuole mantenere il posto di lavoro. Quelle in cui il direttore generale si alza e, a compensare un’annata di pruriginose suppostone non lubrificate introdotte nella più sorda intimità dei collaboratori, inizia con voce melliflua ad indorarseli tutti. Coppa e applauso al dipendente con la lingua più vischiosa; menzione e applauso per il nuovo responsabile del dipartimento spie distintosi per aver piazzato cimici nelle tazze del cesso; encomio e applauso per il capo del personale che quest’anno ha tagliato sessanta poveracci procurando all’azienda risparmi per alcune decine di migliaia di soldi; medaglia e applauso al capo delle relazioni industriali per aver sottoscritto, con la viscida compiacenza dei sindacati, sessanta costosissimi contratti di consulenza esterna con altrettanti inetti amici degli amici. Poi una bella foto di gruppo tutti sorridenti e con una fastidiosa sensazione nella pancia. Per concludere, una finta ovazione accoglie la calda arringa del presidente per un ancor maggiore impegno di tutti a favore della causa comune, cioè la parte variabile della sua retribuzione, ancorata agli utili di bilancio.